Per quante siano le differenze tra gli uomini, nonostante le usanze, le abitudini o le culture, c’è una cosa che li accomuna tutti: la morte.
Rendersi conto della fugacità della vita, combattere una malattia, temere l’annullamento di sé, richiede uno sforzo di immaginazione, perché si tenta di trovare un linguaggio per definire qualcosa che non è affatto definito.
Se la morte è perciò unica, le lingue per comunicarla diventano molte.
Un gioiello incorruttibile per sostenere un corpo molle
Prima ancora dell’invenzione della scrittura, certi popoli esprimevano il corpo umano e il suo legame col tempo nella contrapposizione tra duro e molle.
La durezza infatti simboleggia immediatamente il concetto di incorruttibilità, come quei resti animali che non si mangiano, quali ossa, artigli e zanne; il molle dall’altra parte, della carne e delle viscere, si putrefà per non lasciare più traccia.
Da qui l’intuizione di accostare qualità eterne al proprio io, indossando ornamenti duri per tramutare la debolezza in forza, vestendo orecchie, labbra e narici.
Una pratica che potresti bollare come semplice credenza magica, ma che in realtà rappresenta un modo di comunicare a sé e agli altri un concetto altrimenti vago.
La guarigione tra conoscenza e credenza
All’origine di questa visione si inserisce anche l’approccio alla cura della malattia che, nelle culture definite primitive, è solitamente suddiviso in 2 gruppi:
- quello di chi utilizza rimedi naturali
- quello di chi si affida a credenze magico-religiose
Nel primo caso si riconosce in qualche modo un metodo empirico e si adottando principi biomedici, pur senza intenderli in maniera approfondita.
Nel secondo invece, ci si affida a rituali, la cui principale funzione è di carattere più sociale che medico.
L’antropologia medica perciò, da una parte parla di conoscenza e dall’altra di credenza, ma non opera con lo scopo di separare le due concezioni, quanto piuttosto di trattarle in maniera simmetrica. Le concepisce cioè come modi di affrontare il problema del male nelle differenti società umane, disinteressandosi alla dicotomia verità/falsità.
Il linguaggio del visibile e la medicina moderna
Sono poi i progressi scientifici a cambiare in maniera determinante il rapporto tra visibile e invisibile.
Prima era impossibile capire ciò che avveniva nel tuo corpo a livello microscopico. Oggi non solo lo comprendi, ma intervieni giocando una partita di cui puoi persino cambiare le regole.
Come afferma Michel Foucault, questo è ora alla nostra portata perché con l’evoluzione della scienza medica
Lo spazio dell’esperienza sembra identificarsi al dominio dello sguardo attento, della vigilanza empirica aperta all’evidenza dei soli contenuti visibili.
Il tuo corpo perciò ti appare come un insieme di cose definibili, dandoti un linguaggio per poter esprimere le sue parti, il dolore e quel mondo prima accessibile soltanto attraverso concetti vaghi e astratti.
Il linguaggio dell’invisibile e il pensiero selvaggio
Tornando a un contesto in cui la cultura medica non è avanzata, ecco che l’invisibile si rappresenta con ornamenti che raccontano il tempo nelle opposizioni tra: stabile o instabile, solido o fragile, vivo o morto.
Si rende il male pensabile, per dominarlo in un ordine intellettuale e portarlo a una sua risoluzione.
Puoi trovare diversi esempi di questo tipo di narrazione nel saggio Siamo tutti cannibali dell’antropologo Claude Lévi-Strauss, tra i quali:
1) la gerarchia nobiliare francese
le cui corone, veri e propri capricci dell’immaginazione, accostavano un oggetto eterno formato da metalli e pietre preziose, al corpo limitato di un uomo.
2) i Bororo del Brasile
che bucano orecchie, labbra e narici per sostituire “le parti vili” di sé con elementi duri e incorruttibili. Un’operazione necessaria affinché “gli orifizi del corpo, […] che sono i punti più vulnerabili” non “siano esposti alla penetrazione di creature o di influenze malefiche”.
3) gli indiani in Canada della costa del Pacifico
che davanti a orecchie senza fori o labbra prive di disco considerano queste parti del corpo come inesistenti. Una concezione in cui l’elemento duro è sia sostituzione che valorizzazione di ciò che quella parte del corpo rappresenta (per la bocca, ad esempio: la parola).
I gioielli dei tempi moderni
Anche in tempi e luoghi più vicini si riscontra quello che Lévi-Strauss chiama “pensiero selvaggio”.
Pensa, per esempio, all’associazione tra pietre preziose e proprietà magiche; una trasformazione che porta dal gioiello all’amuleto. Oppure all’oro e ancor prima al rame, diretti discendenti del sole poiché ne richiamano le proprietà visibili e invisibili.
Concezioni sicuramente estremizzate, ma che in parte rappresentano il ruolo comunicativo che i gioielli hanno anche nella nostra cultura.
Perché, proprio come per le usanze che ti appaiono più distanti, l’atto di agghindarsi mira a rafforzare corpo e spirito ed è un linguaggio per discutere la vita e l’eterno.
Non a caso ciò che ci è più prezioso, resiste al tempo ed esiste oltre noi, tramandandosi di generazione in generazione.
Letture consigliate
Siamo tutti cannibali, di Claude Lévi-Strauss
Antropologia Culturale, di Fabio Dei
Ehi, c’è anche il video!
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