Cosa rende desiderabile un prodotto? E quand’è che veramente decidi di comprarlo?
I momenti in cui ti rendi disponibile ad aprire il portafogli sono davvero molti. Di fronte a un potenziale acquisto però, uno dei primi impatti è dato dal packaging, cioè la confezione del prodotto (o servizio).
È qui che inizia il gioco della seduzione. Devi scegliere tra più alternative, quasi sempre in un tempo limitato e possibilmente senza sbancarti.
Il contenitore (saccheggiando le parole di McLuhan su medium e messaggio) coincide col contenuto, posizionandosi in una fascia di mercato e suggerendoti se è o meno alla tua portata. Il brand si rende desiderabile, stuzzica i tuoi bisogni, suggerisce delle soluzioni.
Cos’è il packaging
Per raccontare il packaging bisogna tirare in ballo il concetto di display, ovvero il mostrarsi.
La visualità è infatti campo da gioco del packaging, che sfrutta spazi fisici e psicologici per conquistare il tuo gradimento, contenendo e comunicando con le funzioni di:
- distinguere il prodotto rendendolo subito riconoscibile
- valorizzarlo
- aumentarne le vendite
Ecco il motivo per cui idealmente, il packaging dovrebbe essere uno tra i motori di una strategia di marketing. Meglio cioè svilupparlo di pari passo con la costruzione o il riposizionamento di un brand, piuttosto che calarlo dall’alto tra le tante fasi di un progetto di comunicazione.
Ma da dove arriva l’idea di dedicare tante energie a quello che a conti fatti è un contenitore?
E poi, giusto per non prenderci in giro: con l’aumento vertiginoso degli acquisti online, oggi ha davvero senso parlarne?
I grandi magazzini e la nascita del packaging
Grandi magazzini e Benjamin Babbit sono le risposte alla prima domanda.
Nella seconda metà dell’800 nascono infatti i centri commerciali, luoghi dove il consumo si mette in vetrina e l’acquisto non è più legato soltanto alla necessità, ma diviene: shopping, passatempo, inclusione sociale.
Benjamin Babbitt invece è l’imprenditore americano che per primo ha l’intuizione di trattare il consumatore come un pubblico da intrattenere.
Perché vendere sapone a peso, come fosse un prosciutto, se posso confezionarlo in porzioni pratiche e belle, quasi fosse un regalo?
Da qui il via a un periodo di sfrenata sperimentazione, col celebre claim “Cleanliness is the scale of civilization“, ma anche a nuove forme e formati di contenutore.
Proprio come la tipica silhouette della bottiglia Coca Cola, così voluta per essere riconoscibile anche al buio, o le numerose stampe in cromolitografia su latta, che ancora oggi, richiamate o imitate, danno un tocco di qualità ottocentesca.
Marketing, scaffali e dissonanza cognitiva
Quando entri in un supermercato percorri un modello espositivo che ha lo scopo di farti comprare nel momento migliore.
È una storia studiata per metterti a tuo agio e farti capire tutto a colpo d’occhio. Guardi gli scaffali come fossi in videoteca (pace all’anima loro, per chi se le ricorda) e sai già qual è il genere di film verso cui ti stai indirizzando.
Frutta e verdura che fanno bene sono all’inizio, poi il reparto carni, con esposizioni di nudo pornografico illuminato ad hoc con l’illuminotecnica, particolare forma di packaging che esalta il rosso dei vari tagli. E infine i dolci, il premio, il piacere che puoi gratificare.
Non è solo questo però. Di mezzo c’è anche la dissonanza cognitiva, importantissima nel processo decisionale legato allo shopping. Come già teorizzava Leon Festinger nel ’57, la pubblicità cerca di farti sentire in conflitto con te stesso, dandoti una sensazione di incoerenza.
Un esempio:
- mi piace essere al top e mostrare agli altri il mio agio economico
- il mio smartphone è un po’ vecchiotto
Per risolverlo puoi accogliere la soluzione proposta dal venditore, oppure cambiare atteggiamento interiore, decidendo che il tuo smartphone non è poi tanto vecchio o che apparire ad ogni costo non è importante.
Scimmie, aspettative e acquisti online
Avviciniamoci ora alla seconda questione: ha senso parlare di packaging se l’acquisto online è sempre più presente?
Per rispondere partiamo da questa immagine.
No, non è un serpente che ha mangiato un elefante. Stai guardando il livello di dopamina nel cervello delle scimmie di fronte all’aspettativa di una ricompensa.
L’esperimento del neuroscienzato Robert Sapolsky, ben documentato dalla psicologa Susan Weinschenk, studia il rilascio di dopamina notando come non sia legato alla realizzazione di un desiderio, ma alla sua aspettativa.
Le scimmie in esame, dopo un segnale luminoso, dovevano premere dieci volte un pulsante per ottenere la propria ricompensa. La dopamina entrava in circolo subito dopo la “notifica” e terminava non appena il lavoro era finito, non nel momento della gratificazione.
Inoltre:
- a ricompensa incerta (veniva ottenuta nel 50% dei casi) il rilascio di dopamina era più del doppio
- a ricompensa quasi assicurata (75% delle volte) o quasi sempre negata (25%) si abbassava della metà
L’acquisto online ripropone questo fenomeno. La gratificazione istantanea non è perciò la soluzione più furba, ma è necessario trovare il giusto equilibrio con l’attesa.
L’acquisto multicanale
Bene. Smettiamola di tirarla per le lunghe:
sì, ha ancora senso parlare di packaging nonostante i numeri dell’acquisto online.
Nel 2014, Darrell Rigby e lo studio A. T. Kearney Omnichannel Consumer Preferences, ottengono i seguenti dati (riferiti agli USA) legati all’acquista al dettaglio:
- il 90% degli acquirenti preferisce l’acquisto in negozio fisico, qualsiasi sia l’età
- lo shopping diverte e si va in negozio per fare un’esperienza sociale
- pur comprando online ci si reca spesso in negozio per fare ricerche su ciò che andremo ad acquistare
- circa metà di tutte le vendite su internet è da rivenditori che possiedono anche un negozio fisico
Il senso di tutto questo va a valorizzare il concetto di multicanalità.
Quando devi comprare qualcosa non scegli in modo incontrovertibile se farlo online oppure offline. La realtà è un mix di esperienze e ogni brand ha più touchpoint con cui coinvolgerti. Puoi essere in un negozio sportivo a provare un paio di scarpe, già viste online, e contemporaneamente stai consultando il prezzo su Amazon per vedere se è conveniente.
A tal proposito ti lascio due termini che descrivono esattamente questi fenomeni:
- webrooming: l’acquisto avviene in negozio dopo una ricerca online
- showrooming: l’acquisto è invece online, ma si realizza dopo aver visto il prodotto in negozio
Quindi perché esci la grana?
Abbiamo parlato di packaging e della sua storia, dell’organizzazione simile a una sceneggiatura degli scaffali dei supermercati, di dissonanza cognitiva, marketing, aspettative e acquisti on e offline. Il dubbio però potrebbe restarti…
Perché hai acquistato?
Ti ha convinto il packaging o il modo in cui è stato esposto il prodotto? Sei stato ingaggiato da una pubblicità online o è merito del cartellone beccato per strada? E se fossero stati gli annunci visti sul giornale locale?
La risposta, appunto, è un mix di tutto questo.
La tua attenzione si presta già a più canali. Se perciò non ha senso la suddivisione web/negozio fisico (almeno per chi compra), perché mettere in discussione i giorni di vita del packaging e impaurirsi di fronte a inusuali sperimentazioni? Meglio, piuttosto, prendere spunto!
Letture consigliate
Critica portatile al visual design, di Riccardo Falcinelli
100 nuove cose (vol 1 e vol 2), Susan M. Weinschenk
Sai cos’è il Packaging Positioning?, di Packaging in Italy
Le 6 “normative” del packaging, di Packaging in Italy
Ehi, c’è anche il video!
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