Spesso capita di vedere bambini di 3 anni o meno incantati davanti allo schermo di smartphone e tablet.
Sono situazioni che per le nuove generazioni di genitori, probabilmente, rappresentano la normalità, dato che questo tipo di tecnologia è una soluzione veloce e soprattutto pratica a diverse necessità:
- il figlio che al ristorante deve distrarsi o non sta buono
- l’assenza di bambini in zona con cui poter giocare
- il comodo apprendimento tramite app e giochini
- i video su YouTube più sicuri e sani rispetto a ciò che propone la tv
Impossibile, ovviamente, fare un paragone oggettivo con le abitudini degli anni passati.
Non solo gli strumenti, ora così disponibili e “invasivi”, non esistevano e non si immaginavano, ma nemmeno era pensabile questo particolare contesto sociale.
Sarà per questo magari che, davanti a un piccoletto che si destreggia su un touch screen, l’esclamazione più spontanea che hai è: Visto com’è intelligente?!
Ad ogni modo, al di là di qualsiasi giudizio, è indubbio che un tema come la tecnologia, tanto rapido e difficile da definire, abbia pro e contro che non sempre si possono valutare. Le conseguenze di ogni scelta e abitudine però, sono già visibili o quantomeno prevedibili e su questo ci si può riflettere iniziando il discorso da…
Nativi digitali: Centennials o Generazione Z?
Se per te sono termini strani non c’è nulla di cui preoccuparsi. Già il fatto che per descrivere una generazione non si trovi una sola parola è indicativo…
La Generazione Z, o i Centennials, raggruppa tutti quegli individui nati dalla seconda metà degli anni ’90, che sono:
- abituati a vedere internet come una risorsa ovvia, scontata
- sempre connessi, sia per comunicare che per intrattenersi che per acquistare
- più attratti dai contenuti di YouTube, Netflix o dei social, piuttosto che della tv
- sensibili al mondo degli influencer
- abili a utilizzare nuovi strumenti tecnologici
- capaci di alternare il mondo offline con quello online perché non vedono un prima e un dopo, ma un tutt’uno
- più attenti a temi d’impatto globale come, per esempio, la sostenibilità ambientale
Le altre generazioni, giusto per darti un contesto con cui fare il confronto, sono:
- i Millennials, nati tra i primi anni ’80 e la metà degli anni ’90 (qui mi ci metto io), che assieme alla Generazione Z formano un sottogruppo detto Streaming Generation (già: ci droghiamo di serie tv e Spotify)
- la Generazione X, dei nati tra il ’65 e l’80
- i Baby Boomers, nati tra il ’45 e il ’65
Ora, tornando ai Centennials, c’è un aspetto in particolare che li rende molto interessanti, ovvero quello di essere una sempre più consistente fascia di mercato che solo negli USA vale 44 miliardi di dollari. Sì. Lo so… soldi! Sempre lì si finisce.
GDN: sotto culture digitali
L’influenza sul mercato dei nati con lo smartphone è sempre più centrale, specie in un’economia che si digitalizza per stare al passo coi nuovi consumatori.
Le aziende più all’avanguardia capiscono che sono 3 i target strategici a cui si deve mirare:
- i giovani, principali clienti di domani e early adopters (cioè non hanno paura di provare nuovi prodotti e servizi),
- le donne, statisticamente sono più propense a raccogliere informazioni piuttosto che acquistare d’impulso, calcolano le spese non solo per sé, ma per l’intera famiglia, come farebbe un manager
- i netizen (te ne parlerò meglio più avanti ma qui puoi farti un’idea di cosa siano) che una volta attivati sono veri e propri paladini dei brand che scelgono di sostenere
Tra loro sono tutti gruppi diversi, ma accomunati per il fatto di essere vere e proprie sotto culture digitali, sia perché si riconoscono in valori e abitudini, sia per la forte attitudine all’advocacy, cioè la propensione al passaparola e alla condivisione che nel mondo social fa da cassa di risonanza per i marchi che devono promuoversi.
Tre categorie, suddivise all’interno in migliaia di minuscoli gruppi, che consigliano e influenzano i propri simili con enorme affidabilità, grazie agli scambi dai e per i membri di una stessa cerchia.
Tecnologia, memoria, azione
Ma perché parlare di nati con lo smartphone e di soldi?
La domanda è lecita e la risposta è: perché è un circolo (vizioso o virtuoso) dove il mercato insegue le abitudini dei consumatori e in cui i consumatori si adeguano alle regole del mercato per poi evolverle.
Non è un caso se l’abitudine a comprare, intrattenersi e relazionarsi attraverso il proprio telefono sia semplice da acquisire.
Significa anche, però, che le nostre stesse menti si adeguano a nuovi comportamenti, magari con difficoltà se si è Baby Boomers o Generazione X, sicuramente con semplicità se si è Millennials o Generazione Z.
Ma concentriamoci su questo: il cervello.
Le milioni di informazioni dell’internet, le notifiche e gli articoli, fanno lavorare la tua mente in un certo modo. Così come gli strumenti sono nuovi e diversi rispetto a prima, anche il lavoro del cervello lo sarà.
Il vortice di input che arriva dallo smartphone espone a livelli di dopamina altissimi.
Tutte le app cercano di sfruttare il gioco della gratificazione e della dipendenza. Poche ci riescono, ma quelle poche ti tengono incollato al device. Controlla Instagram, perditi su YouTube, “leggi un articolo”, e i tuoi ricordi e le tue capacità si adegueranno per continuare a farlo.
Conseguenze di questo costante allenamento?
- l’attenzione cala (se non m’interessa passo allo stimolo successivo)
- l’analfabetismo funzionale e di ritorno aumentano (ne ho parlato ben bene qui)
- lo stress diventa più difficile da gestire
Capirai che declinare tutto questo nell’universo di un bambino, che in questo ambiente ci nasce, apre le porte a situazioni da non sottovalutare…
La dipendenza da dopamina
Non sono tra quei bacchettoni che vorrebbero rimandare a tutti i costi i bambini fuori a giocare e sostituirebbero a forza i telefoni coi libri.
Penso però che alcune dinamiche nell’approccio che abbiamo con i nostri device spesso ci siano oscure, e tra le varie, c’è proprio il problema della dipendenza.
Già nel 1958 i neurologi Arvid Carlsson e Nils-Ake Hillarp studiarono il sistema dopaminico e gli effetti che la dopamina ha sul comportamento.
Scoprirono che la dopamina non solo è prodotta in diverse aree del tuo cervello, ma influenza tutti i tipi di funzione cerebrale stimolando un senso di piacere.
Recentemente, in realtà, ci si è accorti che non è il benessere in sé ad essere indotto, ma lo stimolo a desiderare e ricercare ancora e ancora. La dopamina quindi ti fa sentire curioso e spinto a volere più informazioni e input, motivo per cui non ti fermi se sei appagato, ma anzi continui, fermandoti solo se riesci a importelo.
Se ritieni che staccarti dallo schermo non sia così arduo, magari è perché non eccedi in questi meccanismi. Non sono pochi però i casi di dipendenza da social network, e parlo solo degli adulti, abituati a crescere in un sistema diverso dall’attuale. Il discorso cambia, ovviamente, per le nuovissime generazioni.
A rimandare il piacere si impara da piccoli
Conseguenza più tragica di tutta la faccenda è che bambini abituati a un costante processo di ricerca/appagamento non imparano a rimandare la propria gratificazione.
Fu lo psicologo Walter Mischel ad accorgersi cosa questo comportasse.
Scoprì infatti che quei soggetti che da piccoli imparavano l’attesa del piacere, da adolescenti erano migliori a scuola e da adulti più capaci di resistere a stress e frustrazioni.
Altra scoperta interessante invece, è che il calo dell’attenzione ostacola il processo con cui gestisci la memoria a lungo termine.
Quando ti concentri su qualcosa di complesso infatti, come una spiegazione, un calcolo o un libretto di istruzioni, utilizzi un tipo di memoria detta memoria di lavoro. Le risorse che impiega sono moltissime, il tempo che ti ruba è “ridotto” ma il focus da dedicarci è intenso.
Nel momento in cui 8 secondi sono il nuovo standard con cui centelliniamo il nostro interesse, e dato che per fissare una traccia neurale, cioè un ricordo, è necessario impiegare la memoria di lavoro, è chiaro che aumentano gli ostacoli verso una mente sana e funzionante.
Tutto questo si traduce, per adulti ma soprattutto per i più giovani, in:
- non capire ciò che si legge
- non saper affrontare situazioni stressanti
- perdere le capacità intellettive prima acquisite
- non riuscire a costruire un pensiero critico
- diventare facilmente manipolabili
- non avere più le risorse per accorgersi di tutto questo
Bambini e smartphone?
Farà bene quindi lasciare i tuoi figli, che magari non sanno ancora parlare, in compagnia di uno schermo per così tanto tempo?
Non c’è una risposta netta perché non esiste ancora uno studio specifico sulle conseguenze di queste nuove abitudini. Quel che si sa però, è che un bambino, a differenza tua, non ha ancora sviluppato quei meccanismi cerebrali che lo aiutano ad avere il dominio su una possibile vita digitale.
Oltre a questo poi, un bambino ha bisogno di certe esperienze fondamentali che gli insegnino a relazionarsi con le proprie capacità e con gli altri. Pratiche che non richiedono per forza uno smartphone.
Chiudo allora lasciandoti con una domanda: secondo te, un bambino, deve averla per forza una vita digitale e in caso affermativo, come dovrebbe essere?
Letture consigliate
100 nuove cose che il designer deve sapere sulle persone, di Susan M. Weinschenk
Marketing 4.0, di Philip Kotler
Chi sono i Centennials, di Ninja Marketing
Nuovi trend culturali letti attraverso gli occhi della Streaming Generation, di Ninja Marketing
Sovraccarico cognitivo: ricchi di informazioni ma poveri di attenzione, di Nuovo e Utile
Più multitasking, meno attenzione, di Repubblica Scienze
Ehi, c’è anche il video!
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